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La parola ai fatti - L’approccio narrativo alla violenza politica "rossa" in Nucleo Zero di Luce d’Eramo (1981) e in altri testi di quegli anni

Daniella Ambrosino

Résumé

Luce d’Eramo ha voluto raccontare il terrorismo rosso a caldo, quando la stragrande maggioranza dei narratori italiani si rivolgeva ad altri soggetti politicamente meno scottanti. D’altra parte, per evitare le distorsioni che la distanza troppo ravvicinata comporta, ha cercato un distanziamento che fosse interno alla narrazione. Per questo ha costruito il suo romanzo come un fascio di prospettive incrociate in contrasto tra loro, dando voce tanto al punto di vista dei terroristi come a quello dei loro compagni dissidenti e dei loro avversari. Confronteremo questo approccio narrativo di Nucleo zero, e i suoi risultati, con quello dei rarissimi altri scrittori che in quegli anni provarono a raccontare la violenza politica "rossa", in particolare Balestrini (Vogliamo tutto, La violenza illustrata) e Moravia (La vita interiore).
Il contributo più importante di Luce d’Eramo alla comprensione degli anni di piombo a mio avviso sta nell’aver colto in Nucleo Zero il rapporto contraddittorio che i gruppi eversivi di sinistra intrattenevano con la parola, rifiutata per lasciar parlare i fatti (le “azioni esemplari”), ma mai fino in fondo. Qualche anno dopo assisteremo a un ritorno delle parole rimosse nei terroristi che a un certo punto sentiranno la necessità di confrontarsi con la scrittura, come l’Anonimo di Memorie dalla clandestinità, o Renato Curcio che pubblica dal carcere Gocce di sole nella città dei fantasmi (con Alberto Franceschini, nel 1982), e poi WKHY.