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Terrorismo e anni di piombo nella narrativa di Antonio Tabucchi

Charles Klopp

Résumé

Antonio Tabucchi si è occupato di militanti o terroristi degli anni di piombo in cinque testi narrativi : il romanzo Il piccolo naviglio del 1978 ; i tre racconti Piccoli equivoci senza importanza e Cambio di mano del 1985 e Il battere d’ali di una farfalla a New York può provocare un tifone a Pechino ? del 1991 ; e il romanzo Tristano muore del 2004. Il romanzo giovanile, ambientato in parte durante gli anni di piombo, racconta la morte violenta della donna amata seguita da un processo farsesco presidiato da animali presi in prestito dalle pagine di Pinocchio. I tre racconti degli anni Ottanta esaminano la specularità che esiste fra giudici e accusati, carnefici e vittime, stati e individui terroristi in una serie di "giochi del rovescio" narrativi ed etici. Il romanzo più recente, finalmente, racconta la morte di un terrorista "nero" figlio amatissimo del protagonista eroe nazionale della guerra partigiana e anche lui vicino alla morte per cancro. Qual è stato il percorso tabucchiano artistico ed umano in questi scritti provenienti da un arco di più di venti-cinque anni d’attività letteraria ? Forse da una rabbia furiosa ma impotente contro il potere costituito nel primo romanzo seguita nei racconti da una riconoscenza dell’interscambiabilità dei ruoli degli attori negli anni della lotta armata per finire poi nel nuovo romanzo con la constatazione che non è sempre facile distinguere fra nemici ed eroi in uno stato e una società dedicati non alla giustizia ma a giudizi resi accettabili ad un pubblico di massa corrotto non solo dal malgoverno perenne ma adesso anche da mezzi di comunicazione pervasi, cinici e profondamente malefici ?

Texte intégral

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Lo scopo di questo intervento è di tracciare l’atteggiamento di Antonio Tabucchi durante la sua carriera in riguardo alla militanza politica e la lotta armata in Italia – in particolare durante gli anni di piombo fra il 1967 e il 1980. Nei suoi racconti e romanzi come pure in articoli apparsi in quotidiani e altre pubblicazioni, Tabucchi ha ripetutamente denunciato la presenza e il pericolo di ciò che lui chiama la “bestia” del fascismo in Italia, in Germania, nel Portogallo, in Spagna, e anche altrove. Ha anche denunciato l’uso della violenza per fini politici, cioè del terrorismo. Nelle sue narrazioni questa seconda denuncia non si fa, però, in maniera automatica. I terroristi che appaiono negli scritti di questo autore antifascista sono sempre presentati con delle sfumature psicologiche e etiche che mettono in rilievo la loro complessità umana.

Tabucchi ha considerato l’argomento della violenza politica degli anni difficili in Italia in cinque dei suoi scritti: i due romanzi, Il piccolo naviglio del 1978 e Tristano muore del 2004, e in tre racconti, Dolores Ibárruri versa lacrime amare del Gioco del rovescio del 1981, Piccoli equivoci senza importanza della raccolta omonima del 1985, e Il battere d’ali di una farfalla a New York può provocare un tifone a Pechino? dell’Angelo nero del 1991[1]. Esaminerò questi scritti nell’ordine della loro pubblicazione.

I primi due romanzi di Tabucchi, Piazza d’Italia del 1975 e Il piccolo naviglio del 1978, furono scritti e pubblicati durante gli anni di piombo. Anche se non trattano eventi contemporanei, i primi romanzi tabucchiani sono fra i più politici di tutta la sua produzione. Diversamente da Piazza d’Italia, che fu ristampata diverse volte ed ebbe una seconda edizione nel 1993, Il piccolo naviglio non fu ripubblicato in italiano dopo il 1978. Nella Lettre à Christian Bourgois che funziona da premessa alla traduzione francese del 1999, Tabucchi spiegò che dopo di aver pubblicato Il piccolo naviglio in italiano, non aveva “ni la volonté ni la patience de prendre les ciseaux d’une jardinière qui s’efforce de rendre plus ‘domestique’ une plante un peu sauvage du jardin”[2]. Nelle sue “conversaciones” in lingua spagnola, inoltre, con Carlos Gumpert Melmosa del 1995, Tabucchi definì il suo romanzo “una especie de entrenamiento, de taller de aprendizaje […] sólo un ejercicio”[3]. Nonostante questi giudizi un po’ negativi dalla parte del suo autore, sono convinto che questa “pianta selvatica” ovvero “esercizio” sia importante per l’argomento critico che stiamo svolgendo qui a Grenoble.

Il piccolo naviglio fa la cronaca di cinque generazioni di una famiglia di anarchici. L’ultimogenito di questa famiglia, Capitano Sesto, è nato durante gli anni Quaranta del secolo scorso, orfano di un padre ammazzato dai Nazisti durante la guerra. Nei capitoli conclusivi del romanzo, pagine ambientate a Firenze durante gli anni Sessanta, l’ormai giovanotto Sesto s’innamora di una bellissima militante politica di nome Ivana ma chiamata Rosa dai suoi amici in omaggio a Rosa Luxembourg. Durante i funerali di Palmiro Togliati il 25 agosto del 1964, con Sesto a Roma per le cerimonie, Rosa, che stava distribuendo dei volantini politici non autorizzati, è coinvolta in un tafferuglio con la polizia fiorentina e muore quando cade, salta, o è sospinta giù dal Ponte delle Grazie e finisce schiacciata contro un pilone alla base del ponte. Sesto, tornato da Roma a Firenze e desolato dalla perdita della donna amata, reagisce con violenza ed insulti ad un controllo dalla polizia cittadina che lo ferma nell’atto di distribuire anche lui dei volantini in protesta della morte di Ivana. Condotto agli arresti, è processato da una corte presidiata da un gorilla e con cani mastini come gendarmi proprio come in un famoso episodio di Pinocchio. Di fronte a questa parodia bestiale di un’aula di giustizia, Sesto si scaglia contro i suoi nemici in un discorso appassionato in cui definisce la legge che l’ha portato in prigione “una legge subdola e asinina che non riconosco, ma che disprezzo e derido”[4]. Nei quasi cent’anni dalla pubblicazione del Pinocchio nel 1882, il sistema di giustizia in Italia non è cambiato e rimane invece quello grottesco, irrazionale, e disumano descritto nel famoso libro di Lorenzini[5]. Nel Piccolo naviglio, in conclusione, la lotta politica è una lotta armata solo nel senso che i poliziotti sono armati di manganelle. In questo libro la violenza adoperata è una violenza dello stato contro individui come Rosa e Sesto, vittime piuttosto che autori dei soprusi che hanno portato Rosa alla morte e Sesto a reclusione nel manicomio giudiziario.

Dolores Ibárruri versa lacrime amare è ambientato durante gli anni Settanta come sappiamo da un’allusione all’inizio del racconto ad un telegramma ricevuto dall’anziana donna che ne è la narratrice. Il messaggio di auguri nel telegramma proveniva da suo figlio, un uomo cercato dalla polizia per attività terroristiche e che finisce ucciso – “trucidato” dice la madre – dalle forze dell’ordine. Nel racconto, che accade dopo la morte violenta di quest’uomo, il figlio amato è rievocato dalla madre in una descrizione della sua infanzia e giovinezza che lei fornisce ad un giornalista venuto ad intervistarla.

Dolores Ibárruri versa lacrime amare fa parte del volume Il gioco del rovescio. Il rovesciamento che il racconto propone riguarda la vera identità del figlio. Per sua madre, l’uomo morto non è un terrorista capace di fare ciò che lei stessa chiama “cose atroci” ma il suo “Piticche” da sempre – il bambino allegro, intelligente, e affettuoso che amava le barzellette –, faceva sempre benissimo a scuola, ed amava tanto la sua famiglia.

Il padre di Piticche, morto da un’infezione del sangue anni prima dell’intervista raccontata, aveva combattuto contro Franco in Spagna nelle brigate internazionali, schierandosi lui socialista libertario con i socialisti piuttosto che con i comunisti. Durante il suo soggiorno in Spagna, quest’uomo aveva fatto la conoscenza della famosa militante Dolores Ibárruri o “la Pasionaria”. Le “lacrime amare”, infatti, del titolo del racconto sono quelle che il vecchio partigiano socialista immagina che la Pasionaria, ormai residente a Mosca, abbia versato al momento delle rivelazioni di Kruscev nel 1956 delle “atrocità commesse dai suoi predecessori”[6].

Questa visione disincantata degli ultimi anni del comunismo dalla parte del padre di Piticche fu condivisa anche dal figlio che da bambino andava sempre d’accordo politicamente con il genitore. Che il figlio, poi, si era dato a delle attività rivoluzionarie fuori degli ambienti di partiti tradizionali come quello comunista indica che la sua solidarietà politica con il padre si sia continuata, anche se adesso in una maniera estrema, dall’uomo adulto[7].

In questo racconto, quindi, il figlio della narratrice e del vecchio partigiano non è una vittima innocente delle brutalità della polizia come furono Rosa e Sesto nel Piccolo naviglio. Il racconto suggerisce, anzi, che lui sia colpevole davvero delle “cose atroci” cui la madre non vuole credere. Per questa donna – che quando parla di suo figlio al giornalista versa anche lei delle lacrime amare –, Piticche rimane il bambino ingenuo che lei aveva amato e ama tuttora. Il rovescio, dunque, che il racconto propone prende la forma della domanda che questa donna fa a se stesso, al giornalista, e anche ai lettori della breve narrativa: è possibile che un tale bambino di “splendida intelligenza” idoleggiato da sua madre e da tutti quanti che lo conoscevano sia potuto diventare l’autore di atti così “atroci” da essersi meritato di essere violentemente “trucidato” dalla polizia[8]?

Piccoli equivoci senza importanza è fra i più belli di tutti i racconti di Tabucchi. La storia si svolge in un’aula di tribunale durante un processo per terrorismo. Gli avversari principali in questo processo, l’imputato e il giudice, non sono sconosciuti l’uno all’altro ma vecchi compagni dell’università che, dopo un’amicizia giovanile in cui erano anche rivali in amore, hanno preso delle strade diverse nella vita. Nel racconto, però, non c’è dubbio che l’imputato è colpevole. Come ammette a se stesso il giornalista che sta osservando la scena – anche lui un ex compagno dei due quando erano all’università – “sì lo so che è colpevole, ma non fino a questo punto, è solo la rotella di un ingranaggio che lo ha stritolato, e ora lui sta recitando la parte di chi manovrava le leve di quell’ingranaggio, ma lo fa per tenere fede alla sua figura”[9].

Ciò che ha capito l’amico giornalista è che, sebbene colpevole, l’imputato è anche vittima di una serie di “piccoli equivoci” – di ciò che lui chiama “tutti gli errori, i malintesi, le sviste che ci capita[no]”[10] nella vita e a cui non facciamo sempre la debita attenzione. Alla fine del processo, il giornalista che ci ha assistito non ha l’impressione che la giustizia sia stata fatta. Sente solo invece “una grande stanchezza” mentre l’imputato e il giudice sono tutti e due sopraffatti da ciò che lui chiama una “grande tristezza”. Questi sentimenti, secondo il narratore, sono dovuti al fatto, che “non ci si sottrae a niente e si ha colpa di tutto, ognuno a suo modo”[11]. Sono colpevoli tutti, dunque: il giudice come l’imputato, l’amico osservatore come gli antagonisti che sta osservando.

Sono presenti e importanti in questo racconto alcuni dei grandi temi tabucchiani: l’irreversibilità del passato; la labilità e spesso l’arbitrarietà dell’identità; e la persistenza della memoria[12]. Nel racconto sono evidenti anche delle situazioni ricorrenti nelle narrative di Tabucchi: l’ambientazione in un tribunale come in Il piccolo naviglio, La testa perduta di Damasceno Monteiro, e implicitamente nel libro “testimonianza” Sostiene Pereira; la presenza di un giornalista che osserva ma non può intervenire in ciò che osserva come abbiamo visto in Dolores Ibarruri versa lacrime amare e vedremo di nuovo, più avanti, in Tristano muore; e un senso di rimorso, di colpevolezza, e di nostalgia per un passato più innocente e felice ma ormai definitivamente perduto. Un’altra caratteristica di questo racconto importante per la poetica di Tabucchi è la presenza come palinsesto ironico dell’azione di un altro testo – in questo caso quello dell’Antigone di Sofocle.

L’emozione che pervade questo racconto è quella di una perdita, di uno sciupio, di vite andate male non per una decisione o un atto preciso ma per via di “piccoli equivoci” che inaspettatamente hanno avuto un’importanza decisiva. In questo racconto l’imputato Leo è certamente colpevole – ma forse anche vittima non tanto della polizia o del sistema di giustizia quanto dei tempi di fuoco in cui aveva vissuto da giovane come pure di certe decisioni che aveva fatto senza badarci come avrebbe forse dovuto. Perciò la “stanchezza” del giornalista e la “grande tristezza” dei due ex-amici e ora antagonisti non più in una partita di tennis o in una competizione per guadagnare l’attenzione di una bella ragazza ma in una gara molto più seria e molto più tragica.

Il battere d’ali di una farfalla a New York può provocare un tifone a Pechino? fa parte dell’Angelo nero del 1991, una raccolta, secondo Tabucchi, che “tiene como tema básico el mal en sus diversas manifestaciones”[13]. Il racconto descrive l’interrogazione di un “pentito” durante gli anni di piombo. Minacciato da un interrogatore non molto chiaramente identificato ma che si suppone faccia parte in maniera forse irregolare della polizia, l’interrogato confessa o inventa la sua partecipazione nell’omicidio di un diplomatico straniero in cui lui sarebbe stato il conducente dell’auto che portava l’assassino al luogo del delitto. Alcuni dettagli della confessione di questo personaggio immaginario sono stati considerati simili a quelli di un individuo in un vero caso giuridico di questi anni – quello di Adriano Sofri accusato di essere stato uno dei due mandanti dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi il 17 maggio 1972. Un giudice, infatti, nel processo d’appello di Sofri del 1991 chiamò in causa il racconto di Tabucchi insieme ad un testo di Leonardo Sciascia che lui considerava scritti atti a influenzare l’esito del processo[14]. Tabucchi, però, ha negato che Il battere d’ali sia stato influenzato dal testimonio del pentito Leonardo Marino del caso Sofri, insistendo, al contrario, che Marino, un personaggio storico e non inventato, “ha fatto di tutto per assomigliare al mio personaggio. E’ diventato il mio personaggio. Mi ha copiato”[15].

In questo racconto dell’Angelo nero la violenza descritta è ancora una volta quella della polizia. Ma diversamente da quella fisica del Piccolo naviglio, qui la violenza è psicologica, basata sulla minaccia di prigione nel caso che il pentito interrogato non collaborasse. Il tema di coercizione mentale è un tema importante nella narrativa di Tabucchi che sarà sviluppato in altri scritti suoi, in particolare in Sostiene Pereira e La testa perduta di Damasceno Monteiro. Nel racconto nell’Angelo nero la violenza usata dagli interrogatori su “Farfalla” colpisce non solo individui inermi come Rosa nel Piccolo naviglio ma è indirizzato anche contro la verità. La vera vittima, in questo senso, delle procedure arbitrarie e crudeli descritti in questo racconto non è tanto l’uomo Farfalla quanto la Storia – o almeno la cronaca di ciò che è veramente successo.

L’opera più estesa e più complessa che Tabucchi abbia scritto in cui parla degli anni di piombo è il suo ultimo romanzo, Tristano muore del 2004. Il romanzo consiste, in gran parte, delle memorie di un ex-partigiano gravemente malato e spesso in preda a deliri. Lui racconta queste memorie ad un giornalista venuto per registrare le sue testimonianze frammentarie e spesso un po’ confuse. Principale fra i ricordi del moribondo è un episodio accaduto durante la guerra partigiana. In questo episodio il narratore, Tristano, è diventato un eroe per aver ammazzato tutto un drappello di soldati tedeschi che avevano appena ucciso il comandante della sua brigata, un americano di idee politiche non condivise da Tristano, nonché suo rivale in amore.

Dopo la conclusione della guerra, Tristano, ormai un riluttante eroe nazionale e sempre scapolo e solitario, adotta un ragazzo spagnolo. Ama questo ragazzo intensamente e cerca di farlo crescere – esattamente come ha fatto il padre di Piticche in Dolores Ibarruri versa lacrime amare – nell’ambito delle proprie convinzioni politiche. Diversamente da Piticche, però, che decide di seguire la strada politica anticonformista già battuta dal padre, il figlio adottivo di Tristano non segue l’esempio paterno. Invece di darsi all’attivismo rosso, diventa un terrorista nero unendosi giovanissimo a un gruppo di neofascisti spagnoli spietati e pericolosi.

Quando, in una delle sue primissime azioni, il giovanotto adottato muore sfracellato da una bomba che teneva in grembo prima di usarla contro coloro che considerava i suoi nemici, Tristano va a cercare il “cattivo maestro” fascista che ha mandato suo figlio alla morte e quando lo trova lo ammazza.

Come nel caso di Dolores Ibarurri, in questo romanzo il legame transgenerazionale fra partigiani e terroristi, padri e figli è centrale. E come anche nel racconto del Gioco del rovescio, in Tristano muore, la voce narrante – questa volta di un padre invece di una madre che ha perso un figlio – parla ad un giornalista che si limita ad ascoltare senza far commenti. Politicamente, però, la situazione è il contrario di quella del racconto perché in Tristano muore il figlio aveva scelto – forse ingenuamente ma non però per “un piccolo equivoco” come Leo in Piccoli equivoci senza importanza – la parte sbagliata, e si era unito alle forze del male. Ciò nonostante, il dolore del padre per la morte di suo unico figlio è un amore incondizionato, non scalfito minimamente dalle scelte politiche del bambino per la cui morte dà, semmai, la colpa a se stesso:

Usciva nell’orto di notte, errava per i campi e per la vigna, si sdraiava sulla nuda terra, con le zolle si copriva la fronte in un segno di lutto tutto suo, e un po’ di terra la metteva anche in bocca […] era un bambinetto allegro che portavo a cavalcioni giocando sotto la pergola, e lui coglieva l’uva ridendo, come lo amavo, come un figlio […] avrebbe continuato il mio sguardo, sarebbe stato un po’ di me, era tutto quello che mi era rimasto per quello che avevo combattuto […] neanche sepoltura ho potuto dargli, il suo corpo è disperso in pezzi chissà dove, lacerato dalle furie […] ma io lo rivoglio, luna, ti prego, gli insegnerei quello che non seppi insegnargli, la colpa è mia, luna, sono io che ho sbagliato, io ho mancato, luna, e ora lui mi manca, posso tornare indietro? […] Fammi rivivere il tempo che sprecai, non lo sapevo, luna, credevo di sapere tutto e non sapevo niente[16].

L’ipertesto o “l’iperautore” presente in questo passo è chiaramente Leopardi. Nella descrizione di Tristano (nome anche leopardiano per quanto personaggio dell’ultima delle Operette morali) sopraffatto dal dolore si vede non solo il senso di solitudine e angoscia presente in moltissime poesie leopardiane ma anche molta terminologia del poeta recanatese: la notte, la luna, l’orto, i campi abbandonati dove chi parla erra solitario. Ritorna anche un altro tema molto centrale della narrativa di Tabucchi, vale a dire il nostro dovere di dare degna sepoltura ai morti, un tema importante in Il filo dell’orizzonte come fu anche nell’Antigone di Sofocle, ipertesto presente in Piccoli equivoci senza importanza perché la tragedia interpretata dai personaggi di questo racconto quando erano studenti al liceo. Una delle funzioni di ipertesti di questo tipo è di stabilire dei legami fra l’afflizione di personaggi come Tristano con degli esempi insigni di situazioni simili del passato e così fornirgli di almeno un po’ di sollievo[17].

Il dolore di Leopardi, però, almeno dopo le prime poesie patriottiche, fu un dolore metafisico con pochi legami con la situazione politica in cui il poeta si trovava al momento di scrivere. Il Tristano tabucchiano, però, lamenta non solo la morte del figlio e l’indifferenza dell’universo a quella morte ma anche la fine dei sogni generosi della Resistenza dalla parte di posteri che si fanno ammazzare per motivi forse futili, un’epoca dopo cui, come disse Montale “più nessuno è incolpevole”. E’ questa, in conclusione, la posizione finale di Tabucchi a proposito di anni che lui considera anni di spreco e non solo di piombo, anni di morti futili che – diversamente o forse non diversamente da quelle della Resistenza – non portarono a niente di positivo ma produssero soltanto dei morti – morti in molti casi innocenti anche se di giovani che combattevano dalla parte non solo contraria ma anche sbagliata.


[1] Anche Cambio di mano, di Piccoli equivoci senza importanza (Milano, Feltrinelli, 1985) ha un assassino politico come protagonista dell’azione, ma la lotta in questione nel racconto non è quella italiana.

[2] Citato da Elizabeth Wren-Owens nel suo Postmodern Ethics, Newcastle, Cambridge Scholars Publishing, 2007, p. 87.

[3] Carlos Gumpert Melgosa, Conversaciones con Antonio Tabucchi, Barcelona, Anagramma, 1995, p. 140.

[4] Antonio Tabucchi, Il piccolo naviglio, Milano, Mondadori, 1978, p. 182.

[5] Per questo aspetto di Pinocchio, v. Charles Klopp, Workshops of Creation, Filthy and Not: Collodi’s Pinocchio and Shelley’s Frankenstein in Pinocchio and the Mechanical Body a cura di Katia Pizzi, Oxford (in corso di stampa).

[6] Antonio Tabucchi, Il gioco del rovescio, Milano, Feltrinelli, 19882, p. 100.

[7] E’ l’opinione anche di Pia Schwarz Lausen, che ha dedicato diverse pagine del suo eccellente L’uomo inquieto. Identità e alterità nell’opera di Antonio Tabucchi (Copenhagen, Museum Tusculanum Press, 2005) a questo racconto. Per ciò che si suppone fossero le posizioni politiche di Piticche adulto, v. p. 124. A proposito della Ibarruri, Tabucchi stesso ha detto che “Creo que la Pasionaria es un personaje trágico, un personaje que se ha enfrentado con un destino que ha resultado más grande y más poderoso que ella misma, por lo que, como consecuencia, ha sido arrastrada por la corrente de la Historia” (Gumpert Melgosa, op. cit., p. 63).

[8] Per questo racconto si veda anche l’acuta lettura di Leonardo Cecchini, “Cose atroci” e “lacrime amare”. Un’analisi di Dolores Ibarruri versa lacrime amare di Antonio Tabucchi, Aarhus, (Pre)publications, 1992, p. 44-58.

[9] Antonio Tabucchi, Piccoli equivoci senza importanza, op. cit., p. 15.

[10Ibid., p 10.

[11Ibid., p. 16.

[12] Per questi e altri temi negli scritti di Tabucchi, si veda lo studio di Schwarz Lausten.

[13] Gumpert Melgosa, op. cit., p. 178.

[14] Dettagli e commenti in Antonio Tabucchi, L’oca al passo, Milano, Feltrinelli, 2006, p. 140.

[15Ibid., Questi commenti di Tabucchi apparvero originariamente in El País Internacional il 1 ottobre 2001. Si veda anche Antonio Tabucchi, La gastrite di Platone, Palermo, Sellerio, 1998, p. 63-89.

[16] Antonio Tabucchi, Tristano muore, Milano, Feltrinelli, 2004, p. 95-96.

[17] Per l’evocazione con un simile scopo della tradizione europea in Il filo dell’orizzonte, si veda Charles Klopp, Aporias and Intertextuality in Antonio Tabucchi’s Il filo dell’orizzonte, “Italica”, no 75, 1998, p. 428-440.


Citer cet article :

Charles Klopp, « Terrorismo e anni di piombo nella narrativa
di Antonio Tabucchi », colloque Littérature et "temps des révoltes" (Italie, 1967-1980), 27, 28 et 29 novembre 2009, Lyon, ENS LSH, 2009, http://colloque-temps-revoltes.ens-lsh.fr/spip.php?article137